Parco Archeologico dell’Anvòia

Parco Archeologico dell’Anvòia

Anvòia, presso Ossimo, rappresenta uno dei pochi siti indagati con rigore scientifico in Valcamonica. Nel 1988, a seguito di un’iniziativa congiunta del prof. Francesco Fedele dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli e di Amalia e Giancarlo Zerla, ricercatori di Ossimo, veniva scoperto il primo sito in Valcamonica dove alcune stele giacevano ancora in posizione originaria. Le ricerche archeologiche hanno permesso anche di analizzare le attività cultuali che si svolgevano in quest’area durante l’età del Rame (o Calcolitico). In queste pagine verranno presentati alcuni contenuti culturali del Parco Archeologico dell’Anvòia, anticipando le tematiche di un sito che ufficialmente verrà aperto al pubblico nell’Autunno 2004. Poiché il lavoro di sistemazione dell’area è in corso, il testo qui pubblicato tiene conto di quanto già edito dal prof. Fedele e dalla sua équipe in questi ultimi anni per quanto riguarda il sito di Anvòia, da altri autori per quanto concerne una spiegazione più generale del fenomeno delle stele in Valcamonica e nell’arco alpino.

La località di Anvòia, a circa 850 m di quota, è una cresta collinare con orientamento ovest-est, stagliata tra due valloni torrentizi contigui, la val Marsa a destra e la valle dell’Inferno a sinistra. Una collina alle spalle del sito e una bella veduta verso est sono aspetti caratteristici ed importanti dell’area che venne scelta, anche perché dotata di queste singolarità paesistiche e del terreno, da qualche gruppo calcolitico della Valcamonica per crearvi un’area rituale all’aperto, un “santuario”, utilizzato per alcuni secoli. La storia del bosco nell’area è nota dagli studi sui pollini fossili ottenuti dagli scavi archeologici. In questa fase dell’età del Rame il bosco si presentava con aghifoglie (abete rosso, bianco e pino) e con querceto misto. Per la creazione dell’area rituale il sito venne ovviamente disboscato, favorendo così la comparsa di piante erbacee di ambienti aperti (ombrellifere, ecc…) e di specie infestanti (poligonacee, orticacee, ecc…).

Nove campagne di scavo sono state condotte dal Prof. Fedele e dalla sua équipe internazionale tra il 1988 ed il 2002 sul sito di Anvòia. Dopo questi lavori archeologici la zona di scavo è stata reinterrata e protetta in modo da poter garantire la conservazione del sito. Recentemente la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia ha intrapreso lo scavo di due siti vicini ad Anvòia, cioè Pat e Passagrop, rivelando situazioni culturalmente analoghe a quelle di Anvòia, ma con un migliore stato di conservazione dovuto alla natura del luogo.

Cosa è stato messo in luce dagli scavi del Prof. Fedele? Le indagini archeologiche hanno dimostrato la frequentazione del sito durante la fase detta Remedello 2 (2900-2400 a.C. circa) e nel successivo periodo Campaniforme (2400-2200 a.C.). Si tratta quindi di un’area cerimoniale databile all’età del Rame, durante il Terzo Millennio a.C. Attorno al filare di monoliti istoriati ed aniconici, confitti verticalmente nel terreno e con la faccia istoriata rivolta ad Est, si svolgeva tutta una serie di attività rituali, testimoniata dal ritrovamento di alcuni manufatti: alcuni vasi di terracotta venivano deposti dietro le stele; mentre “piatti” di terra cruda, oggetti di selce, coloranti minerali (con cui le figure delle stele venivano colorate o dipinte, in rosso, giallo e in raro bruno-violetto) e piccole pietre dalle forme suggestive (dette marne “figurate”) erano lasciati durante i riti e le cerimonie con l’utilizzo del fuoco. Le stele erano confezionate sul sito e una certa quantità di scheggiame proveniente dalla martellatura sul posto restava abbandonata vicino ai monoliti, insieme agli attrezzi usati. Una piattaforma rettangolare costruita con pietre sul rialzo roccioso del sito era connessa alla combustione di resti ossei umani. Per questi motivi essa è stata definita un cairn piatto, così viene infatti definito – nel linguaggio scientifico di chi si occupa di megalitismo – un ammasso di pietre che circondano una tomba. Non è detto però che in questo caso si possa trattare di una tomba vera e propria: potrebbe trattarsi, piuttosto, del complesso rituale attribuito ai resti ossei di due individui diversi, magari anche molto tempo dopo la loro morte. Un emblematico cumulo di pietre, in parte naturale in parte artificiale e posto alla base della collina, testimonia un altro punto importante delle attività rituali del sito.

In una fase successiva alcuni monoliti furono espiantati e rinnovati istoriandoli di nuovo con nuove simbologie e in nuova posizione. E’ il caso, ad esempio, della stele Ossimo 12, ricomposta da due frammenti che in una primo momento riporta la tipica composizione remedelliana, cioè presenta pugnali, asce o alabarde, un cinturone ed un pendaglio ad occhiale, mentre successivamente venne tolta dal terreno, capovolta e reincisa con tre file parallele di figure umane allacciate e a braccia allargate, analoghe a quelle presenti in altre stele dell’età del Rame (come Cemmo3). In questa nuova posizione la stele venne infissa di nuovo nel terreno. Questa seconda fase di istoriazione è attribuibile al periodo Campaniforme. I calchi della stele Ossimo 12 saranno posizionati nella struttura ricettiva e di servizio al parco, fornita di spazi espositivi, didattici e servizi, posta in luogo centrale tra Passagrop e Anvòia.

In questa struttura verrà posizionato un plastico ricostruttivo delle attività rituali ad Anvòia, oltre al calco della stele Ossimo 12 e di un’ulteriore frammento di stele, M14, dove si osserva la medesima composizione figurativa già spiegata in Ossimo 12, cioè una serie di sette file parallele di figure umane allacciate e a braccia allargate che si sovrappongono ad armi del periodo precedente.

I temi trattati nell’esposizione della struttura ricettiva riguarderanno:

  • La stratigrafia archeologica come storia del paesaggio
  • La società dell’età del Rame che ha dato origine al sito
  • Il comportamento umano e le attività “rituali” del sito
  • L’evoluzione di una ideologia attraverso l’analisi delle istoriazioni
  • Confezione e manipolazione dei monoliti, cioè come le stele venivano scelte, sagomate, incise o dipinte, piantate, espiantate o frantumate.
  • Il lavoro dell’archeologo ad Anvòia

Nella località Anvòia il visitatore troverà invece visualizzati quattro diversi temi:

  1. l’allineamento di monoliti istoriati o aniconici (verranno esposti i calchi delle stele Ossimo 4, 10, 14 e il ciottolone P35)
  2. il cairn piatto (verrà delineato artificialmente a terra)
  3. la buca in cui era posizionato il monolito M9 (verrà delineata artificialmente a terra)
  4. il cumulo formato da ciottolami marnosi (sarà riconfezionata con i materiali marnosi reperiti in loco)

Le repliche dei monoliti visibili sul sito mostrano un associazione tra stele di “sesso” diverso, cioè due stele femminili (Ossimo 4 e 10) che presentano il consueto repertorio di oggetti di ornamento (collane, pettini, pendagli a doppia spirale), una maschile (Ossimo 14) che mostra una serie di sovrapposizione ed accostamenti tra animali e pugnali, e un ciottolone anch’esso dotato, forse, di valenza antropomorfa. Molti altri frammenti di stele istoriate provenienti dallo smontaggio di baite storiche ad Anvòia, oggi distrutte, sono in corso di studio e pubblicazione ma non potranno essere esposte sul sito o nella struttura ricettiva.

Valcamonica e Arco Alpino

La relazione tra la Valcamonica con l’altra capitale del fenomeno nelle Alpi Centrali, la zona di Teglio in Valtellina e poi con la grande regione del Trentino-Alto Adige e quella occidentale di Aosta e Sion è indubbia: le stele presentano differenze locali, che appaiono come dialetti di una lingua, ma denominatore comune è l’allusione alla forma umana, ora più realistica, ora assolutamente vaga e trasfigurata.

Vale forse la pena di riassumere brevemente qui i caratteri morfologici e tematici delle stele nell’arco alpino ed in Valcamonica. Nell’arco alpino il fenomeno delle statue stele si manifesta nel III millennio a.C. con caratteri distinti a seconda delle varie zone; è infatti possibile individuare quattro raggruppamenti omogenei dal punto di vista tipologico: a occidente i monumenti di Aosta e quelli di Sion nel Vallese svizzero formano un unico gruppo; sempre ad occidente, si delinea quello della Lunigiana, mentre nelle Alpi centro-orientali compaiono il gruppo lombardo della Valcamonica-Valtellina e quello del Trentino-Alto Adige. Nonostante la completa autonomia del linguaggio espressivo, i quattro gruppi hanno numerosi elementi simili o del tutto identici che permettono di affermare che non si tratta di fenomeni locali, senza relazioni tra loro, ma dell’espressione di un mondo ideologico comune di ampia diffusione.

Nei due gruppi occidentali e in modo analogo nel gruppo del Trentino-Alto Adige i monumenti presentano accentuati caratteri antropomorfi e possono essere dunque classificati come statue-stele.
Il gruppo della Valcamonica-Valtellina si discosta dagli altri per la morfologia e soprattutto per il senso compositivo delle figurazioni incise o dipinte, che, oltre ad avere un marcato valore simbolico, sono spesso esclusive di quest’area. In Valcamonica e Valtellina si può parlare di composizioni monumentali inamovibili, di massi e di stele; in questi ultimi le sembianze antropomorfe sono solo di rado suggerite dalla disposizione delle figure incise e talvolta dalla smussatura della parte superiore, in modo da delineare le spalle, come nelle stele di Vangione e Tirano-Lovero. È caratteristico il processo di incisione che il più delle volte non è unitario, ma si ripete sulla stessa superficie, anche a distanza di secoli, con fasi successive che obliterano o completano quelle precedenti. Talvolta risulta anche che i massi abbiano subito collocazioni differenti, come sembra suggerire il diverso punto di lettura di due facce del masso Borno 1 (oggi conservato al Museo Archeologico di Milano).

Tra gli aspetti figurativi peculiari gli animali occupano un posto privilegiato: cervi, stambecchi, camosci, cinghiali, volpi e lupi e i cosiddetti “tapiri”, di non chiara identificazione (variamente interpretati come bovini senza corna, cinghiali o lupi), rappresentano la fauna selvatica, buoi (aggiogati all’aratro o al carro), maiali e cani, quella domestica. Gli animali vengono incisi fin dalla fase più antica di istoriazione e costituiscono una componente determinante per l’interpretazione, oltre che un’esclusività del gruppo Valcamonica-Valtellina. Al di fuori di quest’area sono note soltanto due eccezioni nel Trentino-Alto Adige: nel registro inferiore della stele Lagundo I compare una coppia di buoi che traina un carro a quattro ruote e sulla stele di Laces sono raffigurati alcuni cervi maschi.

Anche tra i simboli, i cui significati saranno discussi nei capitoli successivi, compaiono figure del tutto peculiari: i dischi solari ed il sole con i raggi, i pettiniformi, i motivi del “rettangolo frangiato” e delle rappresentazioni topografiche. Queste ultime, mappe o cd. “bandoliere”, sembrerebbero essere le più antiche raffigurazioni sui massi, nell’ambito del periodo remedelliano, o di quello appena precedente.

Infine le figure antropomorfe, che talvolta sono rappresentate in scene composite, forse di danza, di aratura e probabilmente di caccia, risultano praticamente esclusive del gruppo camuno-valtellinese.

Il repertorio delle armi, al contrario, trova numerosi confronti in tutti i monumenti alpini. I pugnali a lama triangolare di tipo remedelliano sono comuni a tutti i gruppi, come anche le asce; rappresentati per lo più singolarmente sulle statue stele dell’arco alpino occidentale, nei due gruppi centro orientali si moltiplicano e sono disposti in serie; nell’area camuno-valtellinese le asce sono talvolta in coppia e più spesso in associazione con un’alabarda. Quest’ultima arma, dal carattere più simbolico che funzionale, sembra essere una prerogativa dei gruppi centro-orientali, soprattutto dei monumenti camuno-valtellinesi, dove è assai frequente; in Trentino l’unica attestazione si registra sulla stele Arco I.

Al contrario nel gruppo di Aosta-Sion i personaggi sono spesso provvisti di archi e frecce, del tutto assenti sui monumenti centro-orientali, anche se al loro valore simbolico vanno probabilmente ricollegate le scene di arcieri sulle stele di Laces e di Lovero-Tirano.

Un altro motivo caratteristico, il pendaglio a doppia spirale, che sui massi camuno-valtellinesi ricorre con discreta frequenza, compare nel gruppo Aosta-Sion solamente su due stele, mentre non è per il momento attestato nel gruppo della Lunigiana; vanno forse interpretate in questo senso le decorazioni sulle tempie della stele femminile di Arco IV in Trentino.

Uno dei monumenti particolarmente adatto per un confronto morfologico e tematico tra i quattro gruppi alpini è la stele lastriforme di Tirano-Lovero (Valtellina). La sua forma e la disposizione delle incisioni evocano distintamente la figura umana, richiamando così più da vicino le stele degli altri gruppi: la rastremazione verso l’alto della parte superiore, per quanto asimmetrica, allude alle spalle, il rettangolo con due linee semicircolari inscritte, collocato nel centro della parte sommitale, indica la testa, il fascio di linee a festoni è il cinturone portato sulla vita. Quest’ultimo è un ulteriore elemento di collegamento iconografico con la vicina valle dell’Adige, dove i cinturoni a festoni compaiono sulle stele maschili, come componente caratterizzante del costume guerriero. Le analogie tra i monumenti di questi due gruppi centro-orientali documentano le strette relazioni che le genti alpine intrattenevano già nell’età del Rame e che precorrono quelle ben più evidenti di epoca protostorica, quando entrambe le zone saranno occupate da popolazioni di cultura retico-euganea.

Proposte di interpretazione

L’interpretazione delle statue stele e dei massi incisi dipende in larga misura dai contesti di rinvenimento. Quasi tutti gli studiosi comunque sono concordi nel riferire i monumenti alla sfera religiosa. Secondo A. Gallay le statue stele di Sion potrebbero essere l’immagine dei capi della comunità, in onore dei quali venivano di volta in volta erette e poi abbattute alla loro morte, per essere reimpiegate nella costruzione della tomba monumentale.
F. Mezzena, invece, ritiene che i personaggi delle statue-stele di Aosta siano eroi o divinità di un pantheon complesso già delineato nelle sue componenti fondamentali; per le statue stele del Trentino Alto Adige A. Pedrotti pone l’accento sulla commemorazione di defunti illustri attraverso le immagini, che acquisiscono nel tempo valenza divina. Anche per F. Fedele le figure di Oassimo dovrebbero essere figure di antenati, della famiglia o piuttosto della tribù, fondatori mitici e capi “eroizzati” che portano emblemi di potere o abbondanza, contrassegni dell’identità del gruppo e perfino simboli cosmologici.

Secondo R. De Marinis invece essi “testimoniano l’esistenza di un culto delle immagini”: il supporto materiale, in quanto rappresentazione della divinità, facilita al fedele la comunicazione con una realtà incorporea. I primi studi approfonditi sui massi incisi della Valcamonica e della Valtellina si devono a E. Anati; secondo l’Autore il loro simbolismo è collegato alle credenze religiose di stampo indoeuropeo, sulla scorta delle teorie di M. Gimbutas, che ritiene le statue stele collegate alla diffusione della cultura Kurgan, delle steppe a nord del Mar Nero, identificato come luogo di origine degli Indoeuropei. Anati suddivide la superficie istoriata in tre registri che corrispondono da un lato ai dettagli anatomici della figura umana e dall’altro, attraverso le figure simboliche, a “un’entità soprannaturale che pare illustrare una visione cosmologica precisa”. Nella parte superiore il cerchio solare rappresenta la testa e allo stesso tempo il cielo. Il registro centrale corrisponde al busto e i simboli che vi sono descritti alludono alla terra. Il registro inferiore, posto sotto la cintura e per lo più interrato, allude al mondo ultraterreno.
R. De Marinis nel 1988 ha evidenziato come lo schema tripartito potesse essere ricollegato alle tre funzioni caratteristiche delle concezioni indoeuropee, così come sono state formulate da G. Dumézil.
Le scoperte di Cemmo 3 e 4 negli anni ’80 hanno consentito a R. De Marinis di formulare una nuova cronologia e quindi anche una nuova interpretazione.
Da un lato De Marinis ha definito due fasi cronologiche all’interno dello stile III A di Anati sulla base delle tipologie delle armi presenti nell’iconografia e della loro posizione stratigrafica rispetto alle altre figure; ha inoltre stabilito che nella fase più recente il concetto divino assume sembianze antropomorfe, sostituendo o affiancando figure umane ai simboli. Dall’altro lato sono stati identificati gruppi di simboli che nella fase più antica sembrano ricorrere in associazione tra loro.
Sui monumenti attualmente conosciuti ed analizzati le associazioni della fase più antica sono tre: il sole e le armi, il “rettangolo frangiato” (probabilmente un mantello) e gli animali, i fasci di linee ad U (“collane”) e i pendagli a doppia spirale. L’osservazione di alcuni particolari monumenti (Caven 3, Cornal, Ossimo 4, Ossimo 10) permette di affermare che le “collane” e pendagli a doppia spirale compaiono insieme a motivi come il “sole a tre raggi”, i pettiniformi e il motivo del “cappello di gendarme”, ma mai associati agli animali e alle armi. Il “rettangolo frangiato”, invece, ricorre su alcuni massi (Ossimo 5 e 8 ) con gli animali, ma senza le armi e i pendagli e le “collane”. Il binomio sole-armi, è accompagnato anche dalle figure di animali (con l’eccezione di Borno 6), che in questo caso non sono altro che un accessorio, apparentemente irrinunciabile, di elementi legati a tradizioni religiose fortemente radicate (Cemmo 2, Borno 4, Bagnolo 1, Capitello dei Due Pini, Caven 1, Caven 2).

Nella fase cronologica più recente la presenza di un personaggio con un piccolo cerchio solare sulla testa sembra sostituirsi al sole dell’età precedente, come conseguenza dell’antropomorfizzazione del concetto divino. Sui diversi monumenti egli è affiancato da uno, due o tre personaggi maschili e/o femminili; ciò confermerebbe due fatti: l’esistenza dei precedenti gruppi di simboli e le diverse valenze sessuali di ogni gruppo di simboli. A questo riguardo sono particolarmente significativi i massi Cemmo 3 e Ossimo 7, dove compaiono, relativamente ad una delle fasi, tre figure umane di cui quella centrale coronata dal sole, il masso di Cemmo 4 con due personaggi, uno maschile ed uno femminile circondati da un cerchio di coppelle, e infine Ossimo 9, con due figure maschili ed una femminile; qui è significativa la posizione di uno dei due soggetti maschili, provvisto di aureola solare, posto di fianco a due asce.

L’analisi su basi archeologiche delle singole associazioni di simboli della fase più antica ha permesso di riconoscere le loro valenze sessuali, anche in assenza del carattere antropomorfo.
La valenza maschile è espressa dal binomio sole-armi nella fase remedelliana, e corrisponde ai personaggi con aureola solare di quella campaniforme, spesso con il fallo evidenziato; il ritrovamento di armi nelle sepolture maschili è un fenomeno generalizzato nell’età del Rame ed è finalizzato all’enfatizzazione del ruolo del guerriero.

Nella fase più antica la figura femminile è rappresentata dal pendaglio a doppia spirale con il motivo a U, il sole a tre raggi e il pettiniforme e corrisponde nella fase più recente alla figura antropomorfa contraddistinta da una piccola coppella posta tra le gambe o in corrispondenza del bacino. Soprattutto il pendaglio a doppia spirale, è connesso alla figura femminile come dimostrano i contesti archeologici, anche se ad Aosta e a Sion compare su due stele che recano anche un pugnale. Potrebbe essere un personaggio femminile armato, che per J. Briard testimonierebbe quel mutamento che l’immagine femminile divina subisce durante il Calcolitico, sotto nuovi influssi che esaltano la componente virile. Potrebbe trattarsi però di un soggetto maschile, poiché i pendagli a doppia spirale sono noti, in rarissimi casi anche in tombe maschili, associati alle armi.

Più complesso è stabilire la connotazione sessuale della figura del “rettangolo frangiato”, anche per la difficoltà di riconoscergli un parallelo nell’ambito della cultura materiale. Tuttavia per la presenza di una figura antropomorfa che nelle composizioni di età campaniforme compare, talvolta con il membro virile evidenziato, accanto all’antropomorfo con aureola solare e alla figura femminile, porterebbe ad identificare il “rettangolo frangiato” con questo personaggio maschile.

Così come le figure antropomorfe sono rappresentate anche in numero superiore a due sullo stesso masso, i gruppi di simboli della fase antica sembrano ricorrere singolarmente o insieme sullo stesso supporto: su Borno 1 sono documentate tutte e tre le associazioni; su Bagnolo 2 compaiono solamente il sole con le armi e il pendaglio a doppia spirale con la “collana”; Ossimo 7 reca le associazioni sole-armi e “rettangolo frangiato”-animali.

Dall’analisi delle tematiche rappresentate sui massi e sulle stele è emerso che la maggior parte dei simboli è da interpretare come elementi particolarmente caratteristici di un abbigliamento cerimoniale e quindi come attributi: i pendagli a doppia spirale, i pettini, le armi, il “rettangolo frangiato”. Lo confermano la cura con cui sono descritte le vesti nei gruppi di Aosta-Sion e del Trentino Alto Adige.

La documentazione rivela inoltre che la divinità maggiormente rappresentata è quella solare di carattere maschile, attestata su 17 monumenti, seguita da 13 rappresentazioni della divinità femminile e da 5 raffiguranti il motivo del “rettangolo frangiato”.

Questo nuovo indirizzo interpretativo ha permesso di superare alcune contraddizioni insite nelle proposte precedentemente formulate. In primo luogo la tripartizione in registri si coglie solo in alcune composizioni, ma non è applicabile a quelle con i binomi “rettangolo frangiato”-animali e pendagli-”collane” e tanto meno in quelle con le figure antropomorfe. In secondo luogo la presunta indoeuropeizzazione della Valcamonica e della Valtellina in epoca così antica appare improbabile alla luce della documentazione archeologica, né è possibile ritenere che quest’area sia stata tra i centri di diffusione delle concezioni indoeuropee.

Come è stato evidenziato da De Marinis, infatti, le statue-stele e i massi incisi sono da ricollegare al più vasto fenomeno del megalitismo neolitico, che ha origine nell’Europa occidentale atlantica, una delle ultime aree ad essere indoeuropeizzata. In particolare i monumenti camuno-valtellinesi potrebbero essere ritenuti l’espressione sincretistica di nuovi elementi e di persistenze di culti connessi ai cicli biologici e alla fertilità della terra. Da un lato le immagini del sole e delle armi si affermano probabilmente sotto influssi indoeuropei e preannunciano il cambiamento radicale nella simbologia religiosa della successiva età del Bronzo, con la predominanza del ruolo maschile e dei suoi attributi principali. Dall’altro lato l’entità femminile va forse ricollegata alla “Dea Madre” delle culture neolitiche dell’Europa orientale; gli animali riflettono forse antiche tradizioni religiose locali; infine le rappresentazioni topografiche e i supporti costituiti da monoliti disposti in allineamenti si riallacciano, come già detto, al megalitismo occidentale. A questo proposito riprendendo ed ampliando un’idea di C. Renfrew, F. Fedele ritiene che le stele ed i massi incisi di Valcamonica e Valtellina “…siano venuti a contrassegnare una nuova organizzazione del territorio”, situazione ben esemplificata nel caso di Anvòia e dei siti analoghi sull’altopiano di Borno-Ossimo.

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