Il lavoro e gli avvenimenti da ricordare
Le fotografie scelte vogliono rappresentare le varie fasi che hanno interessato per molti decenni la vita ossimese.
Vi presentiamo una copertura visiva di molte vicende e cerchiamo per un attimo di fermare lo sguardo davanti alle immagini per prendere coscienza di ciò che nel corso di questi cento anni è accaduto.
Le trasformazioni avvenute in questo secolo hanno profondamente mutato i caratteri delle persone e questi cambiamenti di costume e dell’habitat hanno fatto sparire attività tradizionali quali l’allevamento, la pastorizia e l’agricoltura.
Questi momenti li ricordiamo con alcuni documenti che appartengono ormai ad un’epoca lontana e vi uniamo anche immagini di avvenimenti importanti che per parecchie famiglie hanno un certo significato e rimarranno quindi per sempre nei loro cuori.
Riviviamo “i tempi della memoria” che, con ricami di nostalgia, vengono qui ricordati con queste vecchie fotografie riapparse all’improvviso, o tolte dall’ombra di chissà quale cassetto.
Quasi tutti i mestieri del nostro paese erano in qualche misura legati ai bisogni primari, all’alimentazione, al riparo dal freddo, alla casa, allo scambio di merci indispensabili.
Questi mestieri sono molti, specializzati e minuti in gran parte, tutti di rilevanza sociale notevole: alla montagna sono legati il “malghès” e il “casèr”, al bosco il “carbunèr”, al trasporto su strada il “caretèr”.
Nell’economia familiare di sussistenza il “campulì”, il campicello, diveniva un’esigenza primaria. Spesso infatti l’acquisto del campicello era il risultato di sacrifici protrattisi per anni per diventare “padroni del proprio”. Il “campulì” e la “achìna”, diminutivi di povertà che però per il contadino erano i traguardi più ambiti.
Il processo migratorio, pesante tradizione camuna e ossimese portò, soprattutto nelle miniere a spezzare molte vite ancora troppo giovani.Quando invece qualcuno era malato c’era sempre l’aiuto della gente, anche perchè la mutua non esisteva ed in ospedale non si poteva essere ricoverati se non si fornivano garanzie di pagamento e non pochi erano coloro che dovevano vendere la mucca o il terreno.
Un’intera semplice farmacopea era d’aiuto alle donne che curavano in casa i più diversi malanni: per bronchiti e costipazioni valevano le tisane di foglie di tiglio o pappine di farine di lino scaldata che una garza veniva applicata sui bronchi; per i gonfiori valeva la “boàsa”, lo sterco di vacca; per i “bignù” (foruncoli) il lardo stagionato di maiale; per la rogna o la pellagra si usava fare il bagnoi nel “mòl”, siero avanzato dalla lavorazione del formaggio; contro la polmonite venivano applicate sulla schiena delle sanguisughe coperte da un bicchiere, quindi messe nella cenere perchè rigettassero il sangue, lavate e, se necessario, riapplicate.
Festa di S. Barbara: sovente questa festa e quella dell’Emigrante venivano abbinate in quanto la maggior parte degli emigranti erano anche minatori.
In realtà questa festività interessa propriamente i minatori e gli artificieri e commemora tutti i caduti sul lavoro ed in modo particolare le vittime della miniera.
A 1300 m. si colloca il lago di Lova formato dallo sbarramento del torrente Lovareno. Questo torrente dalle acque perenni sgorga da una sorgente del monte Arano che, secondo i rilievi affettuati dai tecnici della società Olcese, ha origine nientemeno che dal ghiacciaio del Bernina.
Il bacino forniva acqua alla diga di Balegge situata a due chilometri e mezzo da Lova e questi due bacini servivano la società Olcese per alimentare la centrale idroelettrica di Piancogno per produrre energia per il cotonificio.
In seguito alla realizzazione di questo bacino il titolare dell’industria tessile omonima, cav. Vittorio Olcese, venne decorato dal duce Benito Mussolini.