Ossimo, fotografie tra memoria e nostalgia “Volti e primi piani in posa”

Volti e primi piani in posa

Sono fotografie che fanno sognare, ma contemporaneamente hanno la concretezza del ritratto. Attorno aleggia l’atmosfera del ricordo, di qualche rimpianto romantico, di qualche illusione repressa o superata.
Abbiamo voluto privilegiare immagini di forte contenuto estetico perchè da questi visi abbiamo sicuramente assimilato le nostre origini.
Accanto alla vita dei personaggi, in primo piano è la storia.
In queste pagine, corredate da fotografie rare strappate a cassetti gelosi, viene ripercorsa la vicenda degli uomini e dei luoghi, la storia delle case e la fatica del vivere quotidiano seppure nascosta dagli abiti della “festa”.
Storia, dunque, attraverso la descrizione di luoghi, edifici e personaggi, ma anche voglia di approfondire.

Le famiglie erano molto numerose ed era una consuetudine quindi distinguerle con l’uso di soprannomi, i “Scutum”.
La biancheria grossa, quando non c’erano le lavatrici, si lavava due volte l’anno: in primavera, sotto Pasqua, e in ottobre dopo la vendemmia, e si faceva la “bugada”.
Il lavoro durava tre giorni: si metteva la biancheria in enormi mastelli, i “sòi”, poi si faceva bollire con la cenere e al terzo giorno si andava a risciacquarli. Poi per farli diventare bianchi si stendevano al sole.
Qui le lenzuola venivano continuamente bagnate con l’innaffiatoio, “‘l sbrufì”, e ci stavano anche una settimana così distese, dipendeva se erano più o meno sporche.

Fame e abbandono del proprio paese, dei propri cari, malattie e morti si ripetevano spesso in un cerchi ossessivo e continuo che una grande guerra non rompe mai, anzi rafforza.. Quegli avvenimenti e quei personaggi ormai lontani sono spesso confusi dai nostri attuali informatori ma il ricordo delle sevizie e delle umiliazioni subite è comunque cosa certa e significativa.

I vestiti si facevano tutti in casa, li facevano le donne perchè soldi non ce n’erano. Gli abiti “erano sempre quelli”, però c’era il vestito per la festa e un golfino, non c’era il “paltò” e si portavano sempre gli zoccoli e sandali in gomma.
In inverno si facevano le “sgàlbere”, che erano una suola di legno e sopra il cuoio.

Le fotografie erano spesso eseguite in studi che simulavano scene con semplici pareti addossati ai vecchi muri.
Al vestito buono delle feste, indossato per l’occasione, si accompagnavano frequentemente zoccoli e “sgàlbere”, e talvolta a piedi nudi, segni di una vita costretta dentro i limiti della sopravvivenza.

Non era infrequente che l’obiettivo fotografasse i soggetti nei loro abiti quotidiani, in grembiuli o giubbe da lavoro, o nella tradizionale mantellina di lana a punti larghi delle donne anziane.

“Partì un giorno da lontano al chiaro di luna, partì cercando lontano un pò di fortuna ma tu nel partir tutto hai dovuto lasciare, questo è il destino di chi vuole emigrare. E guardando il ciel ti verrà nostalgia dei bei monti e della vallata tua. Passarono tanti anni e non sei mai tornato, hai cercato fortuna, ma non hai più rivisto il paese tuo tanto amato”.

I canti e le canzoni contadine popolari rivestivano un ruolo fondamentale anche perchè divertimenti non ce n’erano.
Le ragazze andavano dalle Suore sino a quando si sposavano e ben poche potevano andare a ballare o al cinema, mentre gli uomini, a gruppi, cantavano nelle osterie, nelle piazze o nei “crodai” (incrocio di strade).

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